Aree periferiche Pavullo

Chi ci è nato ci vuole tornare, chi vive in città, invece, sogna a occhi aperti un “cambio vita”. Sono le aree periferiche definite dall’Istat così sulla base della distanza in termini di tempo da quei poli urbani che offrono servizi essenziali come scuola, ospedale e stazione dei treni. Nonostante queste zone siano spesso associate a una percezione negativa dovuta a un accesso limitato ai servizi, al lavoro, all’interazione sociale, alla cultura e così via, presentano invece aspetti positivi da valorizzare. Rappresentano, infatti, un potenziale di risorse paesaggistiche, ambientali, turistiche e produttive ampiamente sottoutilizzate. È quanto emerge dal Rapporto “Centralità periferica” curato dall’Osservatorio economia e territorio di CNA presentato ufficialmente ieri a Pavullo nel Frignano, sull’appenino modenese, da Alberto Cestari del Centro studi Sintesi che ha condotto la ricerca. L’Osservatorio Economia e Territorio, infatti, è nato nel 2011 per volere di CNA Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto in collaborazione con il Centro studi Sintesi ed è divenuto da tempo una fonte importante di evidenze sulla situazione delle piccole e medie imprese.

Presenti i presidenti di CNA Emilia-Romagna, Veneto e Lombardia, rispettivamente Paolo Cavini, Moreno De Col e Giovanni Bozzini. Sono intervenuti anche l’assessore regionale al welfare, politiche giovanili, montagna e aree interne Igor Taruffi, il sindaco di Alpago (BL) presidente GAL Prealpi e Dolomiti Alberto Peterle, Segretario generale Vicario della Regione Lombardia Pier Attilio Superti. Oltre al sindaco di Pavullo nel Frignano, Davide Venturelli, e il presidente di CNA Modena, Claudio Medici, che hanno fatto gli onori di casa insieme al giornalista Ermes Ferrari, moderatore dell’evento.

Ospite d’eccezione il campione del mondo di sci ai giochi olimpici di Vancouver nel 2010, Giuliano Razzoli, soprannominato il “Razzo” per le sue performance sulla neve: «Io vivo da sempre in una frazione di Villa Minozzo in provincia di Reggio Emilia, con 50 abitanti, quindi un’area periferica. È stato bellissimo, però, crescere in mezzo alla natura, giocando fino a sera con gli unici quattro ragazzi del mio paese. Dall’altra parte è stato difficile, per la mia famiglia, portarmi a sciare e ha richiesto molti sacrifici. Cosa serve per fare innamorare di queste zone le persone? Bisognerebbe fargli provare la vita qui: chi ci nasce appena può vuole tornare».

Le aree periferiche, quindi, hanno la possibilità di essere dei modelli di sostenibilità e qualità della vita importantissimi, possono essere i “custodi” di un bagaglio culturale strettamente legato al paesaggio e a tutti quei mestieri e tradizioni che esprimono la sintonia dell’uomo con la natura. È evidente, però, che l’abbandono demografico e imprenditoriale di queste zone rappresenta una sfida economica, poiché una scarsità di popolazione e di attività economiche e imprenditoriali porta alla perdita di opportunità di crescita e sviluppo i cui effetti negativi si ripercuotono poi anche “a valle”. I relatori

Come ci conferma il rapporto “Centralità periferica” «in Emilia-Romagna, quasi il 29% della superficie territoriale è classificabile come “area periferica”. Ciò significa che circa un comune emiliano romagnolo su quattro, corrispondente al 24,2%, rientra in questa categoria. Il 6,4% degli abitanti della regione vive in un territorio periferico, come il 7,2% (cioè più di 36mila imprese)», dichiara Cestari del centro studi Sintesi.

Caratterizzate da calo demografico significativo, particolarmente accentuato nell’ultimo decennio con una diminuzione del 4,8%, queste aree risentono anche dell’invecchiamento della popolazione, dal decremento delle nascite, con un saldo naturale ampiamente negativo pari a 7,9 per mille e dallo spopolamento da parte dei giovani in cerca di opportunità di lavoro in città. La conseguenza è che, per esempio, nella regione dell’Emilia-Romagna, negli ultimi dieci anni le imprese nelle aree periferiche hanno registrato una netta contrazione del 8,8%, mentre si è osservata una leggera crescita nei poli urbani.

Quattro prospettive per la valorizzazione delle aree interne

L’analisi dell’Osservatorio è stata l’occasione sia di guardare, attraverso i dati, una fotografia delle difficoltà delle aree interne, ma anche di pensare a delle traiettorie da seguire per valorizzare queste zone. Le quattro direttrici chiave per una strategia che sviluppi i territori periferici sono:

  • Tutela del territorio e qualità della vita: le aree periferiche rivestono un ruolo di cruciale importanza per la salvaguardia e la tenuta complessiva del territorio.
  • Tradizioni locali e turismo green: le potenzialità di queste zone in tema di turismo vanno lette in funzione della possibilità di sviluppo di micro-filiere turistiche, soprattutto dedicate al turismo ambientale e naturalistico, come anche culturale legato alla conoscenza di saperi antichi, tradizioni ed eccellenze enogastronomiche.
  • Il digitale può rendere attrattivo anche per le nuove generazioni vivere e lavorare nelle aree periferiche grazie ai nuovi modi di organizzare il lavoro, tra smartworking  e flessibilità.
  • Per rendere attrattivi questi luoghi (e convincere la popolazione più giovane a restare) è indispensabile ampliare l’offerta dei servizi comunali attraverso una progettazione amministrativa pluriennale, sovracomunale e partecipata.

«Le aree periferiche offrono un potenziale economico che deve essere valorizzato attraverso strategie mirate. Il loro sviluppo richiede un approccio integrato, che tenga conto delle risorse naturali, culturali ed economiche locali, promuovendo la collaborazione tra attori pubblici e privati e investendo nella qualità dei servizi offerti. Solo così sarà possibile garantire la salvaguardia del territorio e la creazione di opportunità economiche stabili e sostenibili», sottolinea il presidente di CNA Emilia-Romagna Cavini.

Fondamentali, quindi, i fondi strutturali europei e le risorse del PNRR e, soprattutto, un intervento da parte dello Stato per garantire le infrastrutture materiali e immateriali in zone caratterizzate da servizi che soffrono del fallimento di mercato. «Abbiamo provato a mettere in campo delle misure strutturali e pluriennali, servono risorse che guardino a politiche sul lungo periodo. Siamo consapevoli del fatto che i problemi sono tanti e che siamo in ritardo con la banda larga sull’appennino. I servizi su cui dobbiamo puntare sono sanità e scuola: i presidi sanitari della montagna non solo devono essere garantiti, ma anche implementati e supportati. E poi valorizzare e creare lavoro, aiutando le imprese a rimanere. La Regione ha destinato il 10% dei fondi strutturali europei alle aree montane e interne e su tutti i bandi è garantita una premialità per i territori montani», sottolinea l’assessore regionale Taruffi. L’appennino, quindi, non è solo un luogo problematico, ma è ricco di opportunità che bisogna valorizzare attraverso strategie capaci di immaginare un futuro in cui queste possano rifiorire.